Volgendo lo sguardo alle usanze delle numerose colonie che dall’Albania giunsero nelle estreme regioni
meridionali, ciò che colpisce l’attenzione dell’osservatore e desta grande curiosità, è il costante attaccamento
a tutte le tradizioni della primitiva origine.
Fatta eccezione pochi paesi, nei quali si è andato man mano dimenticando l’idioma nazionale, in tutti gli
altri vivono le ricordanze gloriose della vecchia patria, che si sono tramandate di padre in figlio.
La parola valle in senso generico, ha il significato di danza ma, presso
gli arbëreshë (albanesi d’Italia) essa indica solo la ridda,
che è l’unica danza giunta fino a noi e appartenente al patrimonio coreografico albanese, che prima della
migrazione in Italia, doveva essere sicuramente più consistente.
Non si tratta di una variante della tarantella calabrese ma di una ridda dal colorito originale che ci
richiama i ritmi sostenuti e fieri che ancora oggi trovano riscontro nelle danze dei montanari del Dukagini,
le montagne dell’Albania, della Rugova, regione montuosa della Kossova e dell’Epiro.
La vallja di Pasqua è uno degli avvenimenti più importanti del ciclo
folclorico dell’anno, in passato si svolgeva dalla domenica al martedì, attualmente sopravvive solo nella
zona del Pollino, ma la sua durata è limitata al martedì.
Secondo la tradizione, questa festa è la commemorazione di un avvenimento storico molto importante
per la storia degli arbëreshë, la vittoria riportata da Giorgio
Castriota Skanderbeg, il quale alla guida di un piccolo esercito, sconfisse le armate turche guidate
dal rinnegato Balabano, salvando la cittadella di Kruja il 24 aprile 1467,
secondo il calendario Giuliano in vigore in quel tempo, il 24 aprile 1467, era proprio il martedì dopo la
Pasqua, così per tre giorni, i posteri continuarono a commemorare il glorioso avvenimento.
Lo storico civitese Serafino Basta ne: “Il Regno delle Due Sicilie descritto
e illustrato di Lorenzo Giustiniani” a proposito delle vallje nel 1855 così scriveva:
“Nel dopo pranzo di domenica, lunedì, martedì hanno costume di riunirsi
varie compagnie di giovani, i quali vestiti alla foggia orientale, con turbanti in testa, con spade
levate in alto e con bandiere, vanno cantando i fatti guerreschi e le vittorie dell’eroe di Croia”.
Le donne nelle ridde cantano, ancora esse canzoni nazionali ed accrescono il diletto ai curiosi dei paesi
vicini che accorrono a divertirsi. E’ tradizione essere state stabilite queste feste per avere nel decorso
degli anni, una memoria del natio paese, che imperiose circostanze costrinsero ad abbandonare, ci duole
non poter riportare quei canti che il tempo vorace ha ridotto in frazioni sconnesse e siamo dolenti di veder
cadere in disuso le patrie costumanze.
Secondo la storia, i movimenti eseguiti dalla ridda durante la danza rappresenterebbero la tecnica
di accerchiamento messa in atto da Skanderbeg contro l’esercito turco, non a caso la vallja muovendosi
imprigiona i forestieri tra le sue spire, essi rappresentano i Turchi che vengono liberati, dopo aver pagato
il simbolico riscatto, che nella circostanza consiste nell’offerta di liquori e dolci.
La vallja molte volte è composta da soli uomini che vestiti in costume tratteggiano e ricordano nei loro
movimenti la tattica di combattimento adottata da Skanderbeg per catturare il nemico. La popolazione
arbëreshe rimane così collegata idealmente al suo passato epico e con questa particolare manifestazione,
tende a saldare i principi etnici per mantenere compatta la comunità.
A questo elemento si ricollega il fattore comunitario fortemente sentito presso gli Arbëreshë.
Questa manifestazione, infatti coinvolge tutta la gente del paese. Le ridde fino a qualche anno fa si
formavano nella gjitonia, il vicinato e poi confluivano nella piazza dove si univano tra i canti e le danze
in una coralità entusiasmante.
C’è da notare che la manifestazione delle vallje ha una vasta partecipazione popolare, il popolo non assiste
alla vallja ma la forma, è attore e vi partecipa in prima persona.
La vallja rappresenta non una esibizione folkloristica ma un momento importante tendente a rafforzare i
lineamenti etnici, sociali e morali della gente arbëreshe.
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