La chiesa ha avuto un ruolo fondamentale nell’unità delle comunità italo albanesi. Il
rito greco-bizantino dall’etimologia della parola ebbe origine a
Bisanzio nel secolo IV, la comparsa in Italia risale invece al V secolo durante l’occupazione bizantina da
parte di Giustiniano. Solo dopo il secolo VIII ebbe maggiore incremento, quando Leone III detto l’Isaurico
fece passare dalla giurisdizione di Roma a quella di Costantinopoli la Calabria, la Puglia e la Sicilia.
Gli albanesi venuti in Italia professavano il rito greco perché provenienti chi dall’Albania meridionale,
chi da quella centrale dall’Epiro e dalla Grecia dove era diffusa una religione di espressione greca dipendente
dal patriarca di Costantinopoli.
Tenaci come per le altre tradizioni, continuarono a mantenere il proprio rito che oggi costituisce uno degli elementi fondamentali della propria identità. Dopo il loro arrivo, furono affidati al Metropolita di Agrigento nominato dal vescovo di Ocrida.
In seguito al Concilio di Trento gli albanesi vennero posti sotto la giurisdizione dei vescovi latini e ciò
portò all’impoverimento della tradizione bizantina, fu proprio in questo periodo che molte comunità
italo-albanesi furono costrette ad abbandonare il rito greco.
Ci pensò nel 1732 Papa Clemente XII deciso a salvaguardare il rito erigendo un seminario a San Benedetto
Ullano per la formazione dei giovani al sacerdozio.
Intere generazioni di italo-albanesi che uscirono da questo collegio diedero un notevole contributo al
Risorgimento italiano. Dopo la persecuzione borbonica andò decadendo e venne abolito come istituto per la
preparazione dei sacerdoti. Il 13 febbraio 1919 papa benedetto XV erigeva la diocesi di Lungro.
La liturgia bizantina affonda le sue radici nella
Liturgia di Costantinopoli, introdotta con la dominazione bizantina
nell’Italia meridionale, dove assunse poi caratteristiche proprie. La chiesa di rito bizantino
dell’Italia meridionale presenta delle caratteristiche molto singolari.
La tradizione bizantina fortemente influenzata da quella greca si differenzia da quella latina non solo per il
cerimoniale ma anche dal modo in cui è interpretata la fede.
Spesso capitava che la lingua greca non era comprensibile alla popolazione e veniva sostituita con quella
latina questo solo in alcuni paesi. Gli elementi fondamentali della liturgia sono identici sia nella chiesa
latina che in quella greca.
Diverse sono invece le parole,le preghiere,gli arredi sacri,i simboli,i canti che conservano la malinconia
e la suggestione dell’Oriente e che spesso danno la struttura a molti canti popolari, il profumo degli
incensi che spesso provengono dal monte Athos. Ciò che maggiormente risalta è che la messa greca è più
solenne e tutta cantata ad eccezione delle preghiere recitate dal sacerdote.
Se la solennità è una delle caratteristiche, l’assemblea della comunità non è ripetuta, nel senso che i preti
non celebrano più messe al giorno. La Divina liturgia, segue i formulari di San
Giovanni Crisostomo, celebrato nella maggior parte dei giorni dell’anno, quella di
San Basilo Magno celebrato nelle domeniche di
Quaresima e in altre festività solenni e la Liturgia dei Presantificati
celebrata i mercoledì e venerdì e i primi tre giorni della Settimana Santa,
San Giacomo Apostolo.
La divina Liturgia segue uno schema fisso, sebbene le letture e gli inni variano a seconda del calendario
liturgico. L’anno liturgico bizantino segue tre cicli di feste quelle
a data fissa quelle a data mobile, quello settimana e i formulari. La liturgia si caratterizza per la solennità
ed il simbolismo, il rito per la presenza del clero uxorato, la somministrazione dell’Eucaristia è distribuita
sotto le due specie il vino e il pane lievitato.
Il Battesimo viene amministrato con una triplice immersione nel fonte battesimale, nella stessa cerimonia vengono impartiti anche dell’Eucaristia è distribuita sotto le due specie il vino e il pane lievitato e la Cresima.
Suggestiva è invece la celebrazione del Matrimonio. Il sacerdote accoglie alla porta della chiesa i
futuri sposi dopo le domande e la benedizione di rito il sacerdote e la coppia avanzano lungo la navata
mentre si canta l’inno adatto alla circostanza. Il sacerdote rientra nel vima e inizia la celebrazione
della Divina Liturgia.
Ai fidanzati che si promettono in matrimonio, il sacerdote mette all’anulare gli anelli, simbolo dell’azione di
Dio che li unisce, segue il momento dell’Incoronazione, le corone poste sul capo degli sposi stanno ad
indicare che ognuno riceve l’altro come corona e cioè come splendido ornamento e perfezionamento.
Infine dopo aver sorseggiato per tre volte entrambi dallo stesso calice di vino benedetto, memoria della
benedizione di Gesù alle Nozze di Cana, il calice viene gettato con forza per terra dal sacerdote perché
si rompa ,questa parte rappresenta l’unione spirituale e corporea degli sposi e l’indissolubilità del matrimonio,
poi gli sposi compiono tre giri intorno all’altare, ciascuno con una candela in mano metafora della vita
coniugale che dovranno percorre insieme, rischiarati dalla luce della fede. Mentre si canta l’"Isaia", che
simboleggia la sacra danza con cui presso tutti i popoli antichi si soleva accompagnare ogni solennità
religiosa.
Nell’Oriente Bizantino il sacramento dell’ordine sacerdotale è costituito da cinque gradi
LETTORATO–SUDDIACONATO-PRESBITERIATO EPISCOPATO. I primi tre ordini sono considerati ordini minori gli altri
tre maggiori. Il lettorato e il suddiaconato si conferiscono fuori dal Santuario e non durante la messa,
il diaconato presbiteriato e l’episcopato vengono conferiti dentro il Santuario e durante la messa.
Inoltre per i tre ordini maggiori durante l’ordinazione il vescovo pone sul loro capo l’omoforion. I sacerdoti
sono detti papas ed hanno il tipico copricapo cilindrico nero detto kalimafion e la barba lunga.
Gli uomini sposati possono essere ordinati sacerdoti e diaconi ma non vescovi. Se il diacono e il sacerdote
rimangono vedovi non possono più sposarsi.
La Pasqua per le comunità arbëreshe è la ricorrenza centrale dalla cui data dipendono le altre feste. Particolare significato assumono i riti della Settimana Santa. Secondo la tradizione, essi prendono il via dal sabato precedente la domenica delle Palme, meglio conosciuto come il Sabato di Lazzaro. Era consuetudine in tempi passati commemorare la resurrezione di Lazzaro, gruppi di persone al vespro del sabato e all’alba della domenica andavano in giro per il paese, portando foglie di alloro e cantando la kalimera ad esso dedicata “Καλήμερα”, termine greco che significa “Buogiorno” viene usato dagli albanesi riferito al canto in quanto ha significato di augurio, saluto, vengono cantate in periodi dell’anno in quanto legate a particolari festività del calendario liturgico.
La Settimana Santa prevede sacre ufficiature “akoluthie” per tutti
i sette giorni. I primi tre sono dedicati al Cristo Sposo alla somministrazione dell’olio santo che è propria
del mercoledì. Il giovedì è dedicato alla lavanda dei piedi, al banchetto mistico e alla lettura dei 12 vangeli.
La celebrazione delle Grandi ore e il vespro preludono al funerale di Cristo portato in processione, mentre
i fedeli intonano i versi delle kalimera e Javës
së Madhës. Con le note gioiose dell’alleluia che accompagnano la cerimonia che si svolge la mattina
del sabato, durante la quale il sacerdote cosparge l’edificio di foglie di alloro e dopo due giorni di
silenzio si sciolgono le campane che torneranno mute fino all’alba della domenica mattina quando si svolge
la funzione della “Fjalza e Mirë”.
Rito suggestivo e di un profondo significato, quando i fedeli si riuniscono all’esterno della chiesa con le
porte chiuse. Dietro la porta principale rimane una persona che rappresenta le forze del male.
Il sacerdote legge il Vangelo di Marco e Matteo relativi all’Annuncio della Resurrezione, poi si avvicina
alla porta e comincia a bussare cantando i versetti del salmo, dietro la porta principale si odono fragorosi
rumori e si intravedono anche delle fiamme, sono i diavoli che impediscono a Gesù e quindi al sacerdote,
di entrare, dopo tre tentativi del sacerdote che bussa con la croce sulla porta, finalmente questa si
spalanca ed i fedeli entrano in chiesa.
Mentre si svolge la Fjalza Mirë, seguita da Kristos Anesti Cristo Risorto,
dal canto del mattutino e dalla liturgia di San Giovanni Crisostomo. Anticamente nello stesso tempo alcune pie
comitive intonavano sotto le finestre dei dormienti il medesimo canto sacro del “Krishti u Ngjall” mentre
gioviali cantori invitavano il villaggio alla festa con un canto popolare. Nella messa solenne le campane
suonano a festa si leggono i Vangeli e si distribuiscono le uova colorate di rosso.
Il termine icona deriva dal greco “eikon” tradotto con immagine, identifica una raffigurazione sacra,
dipinta su tavola, del messaggio delle Sacre Scritture affinchè essa rimanesse immutabile. Durante
l’elaborazione di questi modelli, i volti dei santi perdevano i loro tratti individuali e si cambiano in
simboli likì in segni di una soprannaturale spiritualità.
L’icona che per lo più rappresenta immagini di Santi o di personaggi divini fa la sua comparsa nei primi secoli
dell’VIII secolo, quando l’imperatore bizantino Leone III proibì il culto delle icone che venne poi riammesso
nel 787 dal Concilio Ecumenico.
Molte icone furono distrutte, ma la venerazione non si è fermò, anzi continuò e i suoi seguaci furono crudelmente
perseguitati, molte furono salvate perché trasportate in Occidente da monaci pittori che trasmigrarono nei
conventi d’Italia.
L’icona illustrando un episodio evangelico lo rappresenta al di fuori del tempo e dello spazio in tutte
le sue parti, è una visione trasfigurata di esso. I personaggi rappresentati sono dipinti non in modo reale
ma con il volto trasfigurato che dimostra che essi appartengono al mondo celeste e si sono già rivestiti
di un corpo incorruttibile.
Il disegno dei corpi non tiene conto dei canoni anatomici inoltre esiste una sobrietà nei movimenti e nei
gesti dei personaggi che sono rappresentati in atteggiamento fisso, ieratico e di solito frontale
privi di movimento.
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