Le trasmigrazioni degli albanesi in Italia, costretti ad abbandonare la madrepatria per motivi economici e sociali, sono state svariate, se consideriamo anche quelle effettuate negli anni 90 del secolo scorso. I primi veri movimenti migratori albanesi in terra italiana furono compiuti da soldati di ventura e iniziarono nel 1272, anno in cui Carlo d’Angiò si fregia del titolo di “Re d’Albania”.
La I trasmigrazione avvenne nel 1448 quando i soldati al saldo di Demetrio Reres, giunsero in Italia per
portare aiuto ad Alfonso d’Aragona detto "il magnanimo" durante la rivolta dei Baroni ribelli nostalgici degli
Angioini.
La II trasmigrazione avvenne nel 1461-62 quando Ferrante d’Aragona dovette difendersi dalle pretese di
Giovanni D'Angiò e reprimere lo spirito ribelle dei baroni ed eliminare il malcontento del popolo oberato
dalle imposte, Giorgio Castriota Skanderbeg venne ad aiutarlo con i suoi soldati albanesi.
La III trasmigrazione la più numerosa, a varie ondate risale a partire dal 1468 al 1506, definita “esodo del
terrore” portò alla fondazione della maggior parte dei comuni della provincia di Cosenza ed il ripopolamento
di alcune località della Sicilia, delle Puglie e del Molise.
La IV trasmigrazione avvenne nel 1532. La V trasmigrazione proveniente dalla Morea avvenne nel 1647, la VI
nel 1744 la VII fra il 1759 ed il 1825, la IX dal 1990 ai giorni nostri.
I profughi portarono nel sangue e nell'anima un ricordo ed un legame che né il tempo, né la lontananza avrebbero potuto cancellare e distruggere. Gli albanesi venuti in Italia ben si adattarono alle nuove condizioni di vita, diventarono agricoltori popolarono di ulivi e viti le colline che si affacciano sullo Ionio. Oggi i paesi albanofoni sono in tutta l’Italia centro meridionale, di cui il maggior in Calabria, ciascun paese è capace di raccontare a modo suo un pezzo di storia di un popolo fiero, che si è saputo integrare all’interno di un territorio diverso ma che gli ha consentito di conservare rispettandone le tradizioni e le consuetudini.
Dolcemente adagiata sulle propaggini orientali del Pollino, sorge il piccolo borgo di Civita, immersa in paesaggi mozzafiato e fiabeschi scenari modellati dalla natura nel corso dei millenni, riserve verdi di sentieri e di acque limpide che scorrono dal torrente Raganello, in cui si ammira lo splendido canyon, siti archeologici dove si possono udire echi lontani di una variegata cultura che ha visto il susseguirsi nel corso dei secoli di Greci, Romani, Bizantini e infine Albanesi.
Diversi eventi segnarono la storia del popolo albanese, ai continui invasori e dominatori il popolo che abitava l’Albania ha sempre saputo rispondere con la dignità, il valore e l’orgoglio di appartenere ad una stirpe fedele ai valori dell’onore e del coraggio. Alla morte di Skanderbeg si registrò la fuga dalla madrepatria e la scelta dei lidi italiani come rifugio, dove fondarono numerose piccole comunità.
Nata intorno al 1471, lungo l’antico itinerario già percorso dal popolo dei sibariti verso il Pollino nei pressi di un antico insediamento medievale “Castrum Sancti Salvatoris” distrutto da un violento terremoto, fu ripopolata dagli albanesi. Nulla sappiamo del precedente agglomerato, se non di un rudere di una cappella dedicata al Santissimo Salvatore. Ma non è da escludere però che questo piccolo paesino tra le rocce abbia potuto in un tempo molto remoto ospitare una popolazione greca come testimoniano i reperti trovati in località Valle dei Giudei e zona Mater chiesa e nell’alveo del Raganello.
Vicende alterne portarono Civita in mano ai Sanseverino di Bisignano che in seguito la concessero a Giorgio Paleologo Assan signore della stessa. Di nuovo in possesso dei primi fu venduta prima al barone Campolongo, in seguito al barone Tiberio d’Urso.
Rivendicata dai Serra nel 1657 restò in loro possesso fino al 1811.
L’abitato di Civita è composto da tre rioni principali Sant’ Antonio, Piazza e Magazzeno. Il disegno urbanistico
riflette consuetudini di vita che discendono dall’emigrazione prima e dalla colonizzazione poi e si esprimono
in forme di solidarietà e costumanze di vita che hanno permesso a questo popolo dopo più di 5 secoli di dimora
in Italia di conservare la propria identità, lingua, costumi, religiosità, ma soprattutto l’ambiente, l’aver
ripopolato vecchi siti non ha impedito loro di trasformarli in quelle che erano le necessità del tempo.
Civita è uno dei pochi paesi albanesi che ha mantenuto inalterata la sua struttura architettonica nel centro storico, la parte più antica del paese, il rione Sant’Antonio a monte del borgo presenta una struttura medioevale fatta di vicoli strettissimi la cui caratteristica peculiare è l’andamento circolare degli stessi che si affacciano nelle piazzette e li rendono scorci davvero unici, nella stagione primaverile ed estiva sono percorse da turisti in cerca di emozioni, profumi, suoni.
La storia di questa comunità è evidente nell’architettura delle case in pietra addossate le une alle altre,
che creano una forte medioevalità, alcune delle quali sette per la precisione si distinguono dalle altre per
la curiosa morfologia che ripropone i tratti di un volto umano, riflesso della distribuzione degli spazi
all’interno della casa,arricchite da particolarissimi comignoli.
I ritmi di vita in questo rione si rifanno al modello del vicinato “Gjitonia” in arbëresh, esso ha un
significato socio-urbanistico e nello stesso tempo di solidarietà e spirito di appartenenza, dal punto di
vista architettonico, la gjitonia è composta da un nucleo originario che solitamente è una casa signorile
intorno alla quale sono stati sovrapposti nuclei minori che ne hanno modificato la struttura originaria.
Il rione Magazzeno il cui nome è tratto dalla presenza di un magazzino o deposito, un vecchio fabbricato, facente parte della Camera Ducale di Cassano. Secondo la tradizione orale il Magazzeno indicherebbe un abitato Castrum Sanctis Salvatoris ancor prima della venuta degli albanesi da parte di alcuni cassanesi che per sfuggire alle incursioni dei Saraceni avrebbero trovato riparo in questo luogo, resti di una chiesa dedicata al SS.Salvatore erano evidenti fino al secolo scorso nel piano del Magazzeno. Dal punto di vista urbanistico appare costruito da ampie strade e palazzi d’epoca. Due zone urbanisticamente diverse per scorci e vedute ma anche per che ritmi di vita.
La tendenza dell'uomo ad aggregarsi in nuclei si manifesta in modo chiaro nelle gjitonie che a
Civita più che negli altri paesi arbëreshë rimarca la caratteristica dei borghi, quale esigenza primaria
dei primi insediamenti che spontaneamente e razionalmente cercarono una aggregazione che garantisse la sicurezza
e al sopravvivenza dei primi agglomerati.
Se riandiamo con la fantasia anche alla luce di persistenti tradizioni orali e
documentazioni archivistiche, comprendiamo che l’umana solidarietà e il naturale interesse li spingesse
ad aggregarsi in vari nuclei.
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