Il costume tradizionale costituisce ancora oggi per gli arbëreshë uno
degli elementi distintivi della loro identità. La provincia di Cosenza è quella che comprende il maggior
numero di comunità ed è anche quella in cui il costume ha conservato più a lungo questa funzione e la
sua vitalità. Abbiamo qui tre tipologie di costume, gala-nuziale mezzafesta.
L’abito di gala o nuziale che le ragazze indossavano per la prima volta in occasione del loro matrimonio
e poi nelle grandi feste del ciclo dell’anno o in occasione di altre feste nuziali comprende: una lunga
camicia bianca in lino o cotone linja con ampie maniche raccolte in uno
stretto polsino guarnito di pizzo ed una profonda scollatura a V ornata da larghi ricci in tulle finemente
ricamati murrleta.
La scollatura viene guarnita da una sorta di nastro di raso bianco o celeste arricchito di ricami in
oro skola.
Sulla linja dopo averla stretta in vita raccogliendola in pieghe secondo uno schema tradizionale si indossa
una lunga sottana bianca, sulla sottana si indossa una gonna pieghettata
kamizolla il cui colore può spaziare in tutte le tonalità del rosso,
del carminio, del fucsia, su di essa si indossa una gonna un po’ più ampia coha
di colore azzurro. Sopra la linja e sotto la gonna nel caso venga indossata una sola gonna si può indossare
una particolare sottoveste a pieghe detta sutanjeli me rrethin
caratterizzata da un cordone semirigido alla vita ottenuto arricciando fittamente le strisce di tessuto
di cotone sovrapposto.
Sia la kamizolla che la coha sono confezionate in raso di seta ed arricchite a seconda delle possibilità da
ricami in oro riproducenti stelle e fiori stilizzati disposti in file parallele, le pieghe partono da
un’arricciatura in vita che forma un rigido cordone della larghezza di qualche centimetro
“grispat”, trattenuto da uno stretto cinturino ricoperto di gallone
d’oro che sul dorso si allarga per continuare nelle bretelle. Il fondo è ornato da alti galloni d’oro.
La coha viene portata sollevata sul davanti per lasciare intravedere parte della sottostante kamizolla.
Il corto giubbetto aperto sul davanti xhipuni è in tessuto di seta laminato in oro llambadhor ornato sul dorso da alti galloni così come allo scollo e ai polsi mentre sulle maniche preziosi ricami. I colori possono variare dal celeste al blu al viola.
Oltre a questo abito a Civita esiste una variante che veniva utilizzata in occasione del matrimonio civile,
quando questo si svolgeva separatamente dalla cerimonia religiosa kamizolla me
tren gonna con la trina in genere senza ricami e con il gallone sostituito da una trina d’oro leggera
che si indossa senza coha ed è arricchita da un giubbetto nero con galloni e maniche ricamate in oro.
Con questo tipo di abbigliamento non si porta il velo ma uno scialle rettangolare di raso dello stesso colore
della gonna con i bordi guarniti da una striscia di gallone d’oro.
L’uso del giubbetto nero ricamato in oro si indossa in tutti i casi in cui la kamizolla dell’abito nuziale
viene indossata senza coha ,come di solito avveniva nelle cerimonie solenni.
Il costume di gala di cui abbiamo qui un esemplare molto antico, viene indossato senza la coha.
Il costume di mezzafesta detto anche kamizolla me strishat era di solito realizzato in seta grezza kukule,
questa gonna riprende le caratteristiche della precedente ma invece del gallone o trina presenta una
guarnizione al fondo costituita da un’alta fascia di raso azzurra o verde alcune volte sormontata da una
passamaneria in seta, il colore della gonna è il rosso o il violetto.
L’insieme è completato dalla keza piccolo copricapo che contraddistingue
lo stato maritale, ha forma leggermente concava è interamente ricoperta di ricami in oro e arricchita all’atto di
indossarla da nastri rossi anch’essi ricamati in oro, il velo sqepi in
tulle con ricami in oro o bianchi, oltre a monili e gioielli.
Esisteva anche il costume giornaliero oltre alla linja che conserva ricchi merletti allo scollo,
comprende una gonna che riprende la plissettatura caratteristica ed è confezionata con tessuti variabili
secondo le stagioni in tinte scure, lo completano un xhipun nero o marrone guarnito di passamaneria ed
ampio grembiule a tinte scure.
Primo barone di Civita dimorante presso Galatina dal 1463, Civita doveva essere dimora abituale insieme alla sua consorte Anna Ralena. In un documento del 1487 viene nominato come “Signore munifico dai grandi meriti per aver svolto l’opera di pacificazione del regno” per tale ragione re Ferdinando gli concesse il casale di Civita.
Nacque nella seconda metà del secolo XVII. Studiò nel collegio Greco di Roma. Fu arciprete a Lungro.
Nacque a Civita alla metà del secolo XVII compì anch’egli gli studi nel collegio Greco di Roma dove divenne sacerdote. Fu arciprete a Civita. Nel 1650 fece costruire la Chiesa dello Spirito Santo che fu la sola ed unica parrocchia della prima metà del 700. Morì a Civita.
Nacque nel 1585 dall’illustre famiglia Basta di Spezzano emigrati a Civita. Studiò nel collegio Greco di Roma. Visse nel suo paese natio fino agli ultimi giorni della sua vita. Di lui ci restano tre libri scritti in latino che si conservano nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Secondogenito di Carlo Basta nacque a Spezzano. Compì i suoi studi a Salerno dove conseguì la laurea in Fisica nel 1644. Morì giovanissimo a Civita nel 1649. Anche lui scrisse in latino, i suoi libri si conservano nella Biblioteca Nazionale di Napoli.
Letterato e storico. Autore di una preziosa e completa descrizione sugli usi, costumi, demografia e storia di Civita, Lorenzo Giustinianei “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato”, lascia una testimonianza su usi costumi, demografia, storia di Civita rappresentando la fonte più completa sulla comunità.
Eroe risorgimentale. Alunno del famoso collegio italo-albanese di Sant’Adriano a San Demetrio Corone,
giovanissimo partecipò nella battaglia di Sant’Angelo, presso Castrovillari, contro i Borboni. Durante il
combattimento venne ferito (perse l’indice della mano destra), imprigionato venne condannato a morte,
pena commutata in 12 anni di carcere.
Fu compagno di prigionia di Luigi Settembrini, Spaventa e Cala fiore. Liberato si arruolò con i garibaldini,
assumendo l’incarico di maggiore di sussistenza. Fu sindaco di Civita negli anni 1861-62/1870-73.
Nacque nel 1872 fu autore dell’opera intitolata “Martirio e fede”, in cui parla in maniera romanzata degli avvenimenti del 1836. Scrittore e poeta dotato di cultura classica, tra le sue opere “Agesilao Milano” dramma in quattro atti, 1916, ”Raggi ed Ombre” poesie 1918.
Nato a Corigliano Calabro da Tommaso civitese e da Maria Tamburi. Il padre era magistrato si trovava a
Corigliano per svolgere la funzione di pretore del paese quando diventò padre di Costantino Napoleone, due nomi
molto significativi, pur derivanti dai nonni paterno e materno, Costantino imperatore e Napoleone imperatore
dei francesi che aveva scosso l’Europa all’inizio dell’evo moderno. Corigliano era in quel tempo un centro
agricolo con non molte risorse e soprattutto non era il luogo adatto per scolarizzare i figli dei borghesi
in quanto non esistevano scuole superiori.
La carriera del padre portò la famiglia in grossi centri della Sicilia. Fu proprio a Messina che il giovane
Costantino visse un’esperienza dolorosissima, era il giorno successivo al suo settimo compleanno, quando su
Messina si abbattè un violento terremoto che uccise la sorella ferì il padre e segnò profondamente la madre.
In quel terremoto lo storico Salvemini perse moglie e figli. Rimasta senza casa la famiglia Mortati si divise.
Il padre fu trasferito presso la corte di appello di Catania e il giovane Costantino inviato a completare
i suoi studi liceali nel collegio italo-albanese di San Demetrio Corone Nel 1910 ottenuta la maturità classica
si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania la più antica della Sicilia dove per
molti decenni ancora convivevano due facoltà umanistiche Giurisprudenza e Lettere, quindi fu facile per lui
seguire oltre ai corsi di giurisprudenza anche i corsi di Filosofia teoretica e di Letteratura italiana.
Dopo aver sostenuto gli esami del primo anno a metà del secondo anno avendo conseguito una borsa di studio
si trasferì presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma. L’impegno nello studio era indubbio
tanto che nonostante il trasferimento da Catania a Roma gravato dalla condizione di studente fuori sede e
dalla necessità di aiutare il padre malfermo in salute nella sua attività di magistrato, conseguì la laurea
in giurisprudenza, presso l’Ateneo romano, era il luglio 1914. Sedici giorni dopo sarebbe scoppiata la
I Guerra Mondiale.
Costantino tornò a Catania e si iscrisse al terzo anno della facoltà di Lettere, anche se in seguito ritornò
a Roma dove conseguì la laurea in Lettere il 17 novembre 1917. La grande guerra chiamò anche il giovane
Costantino a rendere i suoi servigi, venne arruolato nell’esercito e prestò servizio come sottotenente
nella zona di Padova. Tornato alla vita civile partecipò ai concorsi pubblici e rifiutata la nomina di
professore nelle scuole medie superiori, di segretario nell’amministrazione dell’Interno e delle Finanze,
accettava nel 1920 la nomina di segretario della Corte dei Conti, dove nel 1926 fu primo segretario, nel 1933
aiuto referendario, nel 1934 vice referendario.
Intanto nel 1921 aveva sposato Ester Valentini anch’essa calabrese figlia di un magistrato. Così entrò nella
carriera direttiva della Corte della quale sarebbe diventato magistrato se nel 1936 non avesse vinto il
concorso per la cattedra universitaria, dove insegnò diritto Costituzionale. Nel 1939 venne trasferito alla
facoltà di giurisprudenza dell’università di Macerata, dopo aver svolto le funzioni di preside, fu nominato
Rettore nel biennio 1940/42.
In seguito venne trasferito alla cattedra di Istituzione di Diritto Pubblico presso l’Istituto Universitario
Navale di Napoli. Mentre insegnava a Napoli l’Italia entrò in guerra,impossibilitato a raggiungere Napoli
rimase a Roma e militò nella resistenza nelle fila della Democrazia del Lavoro. Dopo la liberazione di Roma
maturò il suo avvicinamento alla Democrazia Cristiana. Candidato nelle liste di questo partito fu eletto
nel giugno del 1946 come deputato e fece parte della commissione per la Costituzione.
Come appartenente a questa commissione si impegnò all’organizzazione costituzionale dello Stato.
La democrazia Cristiana non lo comprese nelle liste nazionali e volle che si presentasse nel collegio Calabrese
dove andò incontro ad una sconfitta. Abbandonata la politica tornò prima all’Università di Napoli e poi a Roma,
qui nel 1950 fu chiamato alla cattedra di Istituzione di Diritto. Nominato giudice costituzionale il
20 luglio 1960, fu collocato a riposo come docente universitario il 1 novembre 1967 e gli fu attribuito il
titolo di professore emerito nel 1968.
L’attività svolta dal Mortati dal 1960 al 1972 fu intensa. Nel 1972 venne nominato vice pretore della Corte
Costituzionale di cui cessava di farne parte per scadenza di mandato nel dicembre 1972, sebbene avesse varcato
la soglia degli ottant’anni non smise di svolgere attività scientifica e di essere maestro.
Si spense il 25 ottobre 1985 alla soglia dei 94 anni, a lasciare questo mondo era un uomo buono e generoso,
profondo conoscitore del diritto, maestro di allievi validi, giudice attento, che molto ha dato all’Italia
ma che dal sistema socio politico non ha ricevuto il pieno riconoscimento.
Via Cavallotti - 87010 Civita (CS)
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