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Civita, 25/30 marco 2024 - A Civita i riti pasquali si concludono il martedì successivo alla Pasqua con la celebrazione delle Vallje. La parola vallja in senso generico ha il significato di danza, ma presso gli arbëreshë indica la ridda che è l’unica danza giunta fino a noi ed appartenente al patrimonio coreografico albanese, che prima della migrazione doveva essere sicuramente
più consistente.
Le vallje rappresentano uno degli avvenimenti più importanti del ciclo folclorico dell’anno. Questa ha origini remote, ma la tradizione albanese colloca la sua origine alla rievocazione di un avvenimento storico molto importante per gli arbëreshë, la vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderbeg, il quale alla guida di un piccolo esercito sconfisse le armate turche, guidate dal rinnegato Balabano, salvando la cittadella di Kruja il 24 aprile 1467, che secondo il calendario Giuliano in vigore in quel tempo, era proprio il martedì dopo la Pasqua, così per tre giorni i posteri continuano a rievocare il glorioso avvenimento tra lo sfavillio dei colori e i toni melodiosi dei canti tradizionali.
Contrasti e difficoltà non mancarono, proprio a proposito di queste si ricordano i provvedimenti restrittivi imposti da Monsignor Andrea Pierbenedetti, vescovo di Venosa, il quale in occasione di una visita pastorale nella diocesi di Rossano avvenuta nel 1629 proibì la festa perché considerata blasfema. Conosciuta anche come ballo tondo, per la sua esecuzione che si articola in particolari evoluzioni circolari che formano delle serpentine o un labirinto ,a Civita viene eseguita prevalentemente da donne che indossano il prezioso costume tradizionale, disposte a semicerchio con due uomini alle estremità “Kapureltë” che conducono i movimenti del ballo. La modalità di svolgimento della vallja è una simulazione ingentilita dalla marcia di Skanderbeg con i movimenti di accerchiamento e di cattura dei Turchi.
Nella rievocazione civitese i nemici sono simbolicamente sostituiti da persone sconosciute, osservatori e curiosi, ai quali si vuole rendere onore catturandoli e offrendo loro un canto improvvisato al momento, oppure che vengono simbolicamente catturati perché “lëtirë” cioè stranieri che non appartengono alla comunità. In entrambi i casi i prigionieri per essere liberati devono pagare un simbolico riscatto consistente nell’offerta di bevande o altro, che rappresentano nel primo caso un ringraziamento per l’onore ricevuto, nel secondo un riscatto per la liberazione.
Questa festa è stata descritta da illustri studiosi ma, per onor di patria si riporta un breve brano tratto da una cronaca che nel 1855 l’illustre scrittore civitese Serafino Basta pubblicò nel volume “il Regno delle due Sicilie” Descritto ed Illustrato “Nel dopo pranzo di domenica ,lunedì ,martedì hanno costume di riunirsi varie compagnie di giovani i quali vestiti alla foggia Orientale con turbanti in testa con le spade levate in alto e con bandiere vanno cantando i fatti guerreschi e le vittorie di Croia. Le donne nelle ridde cantano ancora esse canzoni nazionali ed accrescono il diletto ai curiosi dei paesi vicini che accorrono a divertirsi. E’ tradizione essere state stabilite queste feste per avere nel decorso degli anni una memoria del natio paese che imperiose circostanze costrinsero ad abbandonare ,ci duole non poter riportare quei canti che il tempo vorace ha ridotto in frazioni sconnesse e siamo dolenti di veder cadere in disuso le patrie costumanze”.
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